Nel 2019 i Consorzi fitosanitari di Modena e Reggio Emilia hanno raccolto una serie di dati e di analisi sul campo che forniscono speranze e prospettive potenzialmente positive per il futuro per quanto riguarda il problema della Cimice asiatica. Come riferito dal direttore Luca Casoli, nella sola provincia di Modena sono state raccolte 17.000 uova di Cimici (in maggioranza uova di Cimice asiatica) che nel 19,6% dei casi risultavano parassitizzate. Questo significa che l’attività di altri insetti ha impedito lo sviluppo di queste uova.
Dati confortanti arrivano anche dal Friuli Venezia Giulia dove, anche qui, si registra un incremento significativo delle uova di Cimice asiatica parassitizzate.
La cosa confortante è che si tratta di dati che, nel loro insieme, vanno in controtendenza rispetto agli anni passati (dal 2012 al 2018). Dunque l’ambiente sta provvedendo in maniera autonoma a mitigare la proliferazione di questa autentica piaga.
Secondo i dati ancora parziali riportati da tecnici e ricercatori gli insetti autori di questa parassitizzazione sono Trissolcus mitsukurii, alcune altre specie di Trissolcus e Anastatus bifasciatus.
Ovviamente perché vi sia una risposta ancor più significativa da parte dell’ambiente in questa direzione è importante che anche l’uomo faccia la sua parte rinunciando a pratiche e abitudini che mettano a repentaglio l’incolumità di questi insetti utili la cui attività (in ogni contesto) viene messa a rischio con l’uso di veleni, sostanze inquinanti e insetticidi chimici.
In Italia dopo il 1945 aumentano enormemente gli agenti patogeni, proprio come conseguenza dell’introduzione di pesticidi, iniziando dal famoso DDT (vedere grafico).
Ciò è dovuto agli squilibri provocati dall’uso indiscriminato di prodotti chimici di sintesi. Aumenta anche e soprattutto la resistenza ai pesticidi stessi (dati adattati da Tremblay, 1985 e dati di Dudley, 1987). La totale mancanza di selettività da parte dei pesticidi di sintesi determina la scomparsa degli insetti utili, che sono i più delicati e sensibili, mentre va a favorire la proliferazione di quei fitofagi in grado di sviluppare resistenza, che solitamente sono i più temibili e dannosi, anche perché vengono a mancare proprio gli antagonisti. In parole povere si può affermare che, tramite il ricorso alla chimica, per risolvere un problema se ne causano altri 3.
Nel 2018, nell’ambito di una sperimentazione svolta da UNIMORE e Consorzio Fitosanitario di Modena, sono stati introdotti presso un frutteto biologico 600 individui di Anastatus bifasciatus (antagonista autoctono) arrivando ad ottenere poi una parassitizzazione delle uova di Cimice asiatica del 48,5%. Ma nel 2019 la stessa attività si è svolta presso un frutteto a gestione integrata dove si è arrivati solamente al 6% di parassitizzazione delle uova. Ovviamente non è possibile trarre conclusioni categoriche (anzi), ma è evidente che in questo caso il tipo di gestione del frutteto potrebbe aver influito sui risultati finali in maniera significativa (o almeno è lecito ipotizzarlo).
Un’agricoltura che sia rispettosa dell’ambiente e delle varie risorse naturali (acqua, aria, suolo) deve agire in sintonia con gli equilibri naturali evitando azioni negative e distruttive. Anche il controllo di parassiti e fitofagi dunque deve avvenire nel rispetto dell’ambiente attraverso azioni indirette (sane pratiche agronomiche) e azioni dirette (trattamenti) che non siano impattanti. Questi aspetti si realizzano su tre punti:
– PREVENZIONE (buone pratiche agronomiche, biodiversità funzionale)
– USO DI RIMEDI NATURALI
– FAVORIRE L’AZIONE DI NEMICI NATURALI E ANTAGONISTI
Con il rispetto e la sinergia di questi tre punti è possibile promuovere al meglio i processi naturali e l’equilibrio dell’ecosistema lì dove è più evidente il fallimento della chimica, come nel caso della Cimice asiatica.
Una corretta prevenzione passa attraverso l’applicazione di buone pratiche agronomiche come l’impiego di concimazioni sane ed equilibrate (humus di lombrico, compost biodinamico ben trasformato, sovesci plurispecie), il ricorso ad ampie e valide rotazioni, la creazione di biodiversità, la rinuncia all’uso di veleni e sostanze nocive, il ricorso a lavorazioni del suolo che ne rispettino la biologia, la scelta di varietà idonee al proprio contesto e resistenti, il ricorso a consociazioni utili etc. etc.
Mentre nel caso in cui si vogliano effettuare trattamenti mirati per il controllo di parassiti vari e malattie è bene utilizzare rimedi che non siano impattanti e nocivi, intervenendo in prevenzione oppure ai primissimi sintomi. Si possono allestire un gran numero di rimedi naturali anche molto efficaci. Risulterà importante anche la scelta del momento più opportuno per intervenire con un determinato trattamento.
Il rispetto dei punti sopra citati favorirà al meglio l’attività e l’azione dei vari nemici naturali nei confronti di parassiti e fitofagi. Tutto ciò consentirà di promuovere un’azione dinamica dell’ambiente, sicuramente un tassello importante nel quadro complessivo per il controllo della Cimice asiatica, al fine di contenere la proliferazione di questa specie entro condizioni accettabili. La miglior cosa sarebbe il rispetto di questi elementi su scala di paesaggio. Occorre agire sull’insieme (ciò che Rudolf Steiner definiva organismo agricolo).
Ovviamente quello della Cimice asiatica è un problema complesso, frutto di una globalizzazione dettata dalle leggi di un mercato che mira al profitto esasperato senza curarsi delle conseguenze su ambiente, organismi viventi e persone. Profitto e interessi di parte divengono le uniche priorità assolute e tutto il resto passa in secondo piano. Globalizzazione che tende ad omologare e rendere omogeneo anche il contesto biologico inerente alle forme viventi (vegetali e animali) attraverso l’affermazione di un panorama ristretto di specie a discapito della ricchezza e della pluralità di forme che caratterizzano invece la vita nel suo insieme. Quegli spazi che un tempo erano occupati da una pluralità di forme e di organismi viventi differenti oggi sono stati invasi o conquistati da poche specie predominanti e invasive. A loro volta spazi e habitat sono stati omologati, impoveriti e semplificati (monocolture, cioè sistemi ecologici fortemente alterati che, per questo motivo, perdono la naturale funzionalità).
Questa stessa dinamica si ripresenta su diversi livelli e si manifesta anche sul piano culturale e intellettuale attraverso il pensiero unico globale.
Per quanto riguarda l’agricoltura chimico-industriale si dimentica che il grado di complessità di un sistema biologico determina e fa emergere nuove proprietà all’interno del sistema stesso, e fra queste proprietà vi è proprio il mantenimento di uno stato di equilibrio nei rapporti e nelle relazioni tra i vari organismi (ad esempio preda/predatore, fitofago/antagonista). La presenza di più specie può contribuire a ridurre scompensi e problemi generati dalla fluttuazione dell’ambiente; se viene meno il contributo di una particolare specie, altre possono intervenire a eseguire il suo ruolo. In questo modo le proprietà e le funzioni dell’ecosistema sono più affidabili.
Ancor più importante diviene la qualità della diversità (non necessariamente la quantità) in funzione della composizione botanica di un dato ambiente per poter sostenere determinati organismi utili. Questo fattore è ancor più rilevante se assume un carattere stabile e permanente.
Fabio Fioravanti