Ringrazio Francesco Orini per avermi invitata e aver vinto la ritrosia e il nostro lato un po’ selvatico; sono contenta di avere accettato l’invito. Per parlare di Vignai da Duline devo parlare dell’esperienza di vita che Lorenzo, mio marito, ed
io conduciamo insieme dal 1995. E’ stata per noi fondamentalmente un punto d’arrivo, un confluire di tutte le esperienze che in modo parallelo o insieme abbiamo avuto modo di percorrere. Per curiosità nostra, fortuna o contingenza, le
abbiamo fatte fin da ragazzini e si sono trasformate in un insieme complesso e non sempre definibile in modo univoco. Le sentiamo così interiorizzate da faticare spesso a verbalizzarle e, tanto meno, a rivendicarle: corrispondono alla nostra visione del mondo. Mi piace chiamarle, pensando alle nostre marne e argille, UNA STRATIFICAZIONE DI SGUARDI
che si sono via via sedimentati dentro di noi e che continuano a nutrirci.
Vorrei richiamarli brevemente: Dall’ANTROPOLOGIA CULTURALE abbiamo imparato lo SGUARDO VERSO GLI ALTRI; a percepire e a cercare la nostra identità in relazione a quella degli altri, a vivere le proprie scelte non come verità assolute ma come terreno di possibili incontri. Abbiamo anche allenato lo SGUARDO SUL PASSATO. Per la mia tesi di
laurea abbiamo trascorso un anno ad intervistare le persone anziane dei paesini della montagna friulana. Abbiamo ascoltato le loro parole, il racconto di un mondo fatto sì di fatiche ma anche di relazioni armoniche con l’ambiente, con i luoghi dove vivere e con pratiche agricole basate su una gestione equilibrata e di buon senso. Questo ha scavato dentro di noi un desiderio di riannodare quel filo interrotto dalla spinta all’industrializzazione; non in modo nostalgico ma come risorsa attiva per il futuro. Dalla passione di Lorenzo per l’ARCHEOLOGIA e dai lunghi anni di scavo abbiamo appreso LO
SGUARDO VERSO LA TERRA, a tenere lo sguardo verso il suolo, a osservare i segni, le tracce che dalla superficie ci indicano la ricchezza degli strati più profondi. Questo allenamento si è rivelato incredibilmente prezioso pone nell’osservazione dei nostri terreni, nella pratica di rilevamento, ad esempio, delle piante spia o degli altri elementi in grado di fornirci indicazioni per lo stato di salute e fertilità del sottosuolo.
Dalla TEOSOFIA prima e dall’ANTROPOSOFIA poi abbiamo imparato LO SGUARDO VERSO L’ALTO, a riconnetterci con i ritmi cosmici, ad ampliare il concetto di calendario, a sentirci parte di un tutto senza diventare però fideisti. Gli anni di
formazione per insegnante Waldorf mi hanno dato la possibilità attraverso la pedagogia di allenare l’intuito, di percepire meglio le cose visibili ma anche quelle più invisibili. La pratica di insegnamento mi ha portato a considerare l’importanza del presupposto teorico ma anche il rischio della sua nullità senza la considerazione del contesto in cui si opera e soprattutto dell’individuo che abbiamo di fronte (questo vale anche per le singole viti).
E ora che siamo genitori di due bimbe che frequentano la stessa scuola attingiamo agli stessi impulsi. L’esperienza più profonda che è stata anche l’humus che ha permesso di fare fiorire le altre, è stata la frequentazione del Centro Sociale Anarco libertario di Udine; un ‘incredibile laboratorio umano, politico e artistico, che abbiamo incrociato fin da ragazzini delle superiori, dove ci siamo conosciuti e dove abbiamo potuto sviluppare LO SGUARDO SU NOI STESSI IN RELAZIONE AL MONDO: il nostro pensiero critico; lì ci siamo interrogati su COSA MANGIAMO, SULLA PROVENIENZA DEL NOSTRO CIBO, SU COME CI CURIAMO, COME VENIAMO EDUCATI E COME VENIAMO INFORMATI e via via a
decostruire tutti gli aspetti del nostro vivere. In questo luogo abbiamo appreso e fatte nostre le parole AUTOGESTIONE E AUTOPRODUZIONE, che ancora, per quanto possibile, sono l’orizzonte delle nostre scelte. Ma anche il senso del MUTUO APPOGGIO, la necessità di creare collaborazioni e sinergie. Da questo siamo entrati in contatto con le prime edizioni del CIR CORRISPONDENZE ED INFORMAZIONI RURALI, un movimento nato nel 1998, formato lungo il territorio nazionale di anime molto diverse, da individui, eco villaggi, comunarde, tutti accomunati dall’idea della necessità di un ritorno alla Terra come possibilità di sostentamento ma anche come pratica rivoluzionaria. Abbiamo partecipato ai dibattiti sulla biodinamica, ma anche sulla permacoltura o sulle esperienze di Fukuoka. Da tutto questo è nata la necessità di passare all’azione, di dare una forma a tutto ciò, di metterci in gioco con un’esperienza che fosse nostra . Nel 1997 abbiamo ottenuto in affitto dal nonno di Lorenzo i due ettari della Duline, piantati dal bisnonno nel 1920 e altri due terrreni. Da lì siamo partiti piantando 3000 alberi di essenze autoctone per ricreare una bordura che fosse sia protezione dagli interventi chimici dei vicini sia accoglienza di specie animali e di insetti. Lì, con l’aiuto degli amici abbiamo costruito il primo nucleo della nostra casa, completamente in legno e una serie di passaggi di riappropriazione fisica e simbolica di quei luoghi. Quando anni dopo, proprio dentro questa casa nella Duline sono nate le nostre figlie, ho sentito che una prima parte di questo ciclo si era in qualche modo compiuta. Presi dall’entusiasmo del ritorno alla Terra abbiamo sperimentato varie pratiche agricole prendendo subito (nel 1997) la certificazione biologica, vivendola come un paletto identitario importante ma non sufficiente; dall’orticoltura, ai cereali seminati a mano ma a poco a poco la vigna ha avuto il sopravvento: CE NE SIAMO INNAMORATI. Abbiamo compreso che il vino, nella sua dimensione alchemica di trasformazione della materia, potesse dare espressione più profonda alle nostre esperienze; potessediventare memoria dei nostri luoghi e sintesi perfetta di noi. Ho avvertito, personalmente, il fascino delle possibilità di narrazione che il vino
porta con sé, la capacità di farsi veicolo di storie. Nel 2001 il grande incontro con Il Ronco Pitotti, un’isola di otto ettari di vigneto circondati dal bosco, nei Colli Orientali. I proprietari erano stati dei pionieri del bio trentacinque anni fa. Due luoghi, la Duline e il Ronco Pitotti diversi ma complementari; uno da ricondurre in equilibrio per la troppa spinta produttiva ricevuta (per fortuna senza aver mai subito diserbi); l’altro in stato quasi di abbandono e con necessità di rivitalizzare
il suolo ormai asfittico e le viti in evidente stato di carenze.
In questi anni queste vigne vecchie sono stati i nostri unici e migliori consulenti; da loro abbiamo appreso pian piano le vie migliori di intervento, utilizzando le esperienze fatte in precedenza ed arrivando ad un approccio sincretico, cucito su
misura su queste viti. Questo ci ha portato anche all’equilibrio nella composizione della materia prima e nel vino che ne deriva, in un approccio stilistico personale che non tiene conto delle mode o delle interpretazioni del momento.
Negli ultimi anni , non accontentandoci solo dei risultati visibili, del nostro lavoro abbiamo deciso di investire in ricerca. In particolare abbiamo assunto un ragazzo che ci coadiuvasse nelle analisi (autospesate), nella raccolta ed elaborazione dati per dare alle pratiche una dimensione confrontabile in termini di parametri.
Ci siamo concentrati su due delle ricerche per l’equilibrio dei nostri vigneti che conduciamo da molti anni: la chioma integrale; ovvero la ripresa della pratica una volta tradizionale in Friuli della NON CIMATURA e dell’utilizzo di una particolare varietà di ERBA MEDICA traseminata nella copertura erbacea a cui non segue alcun sovescio.
Abbiamo sentito la necessità di investire in ricerca per rompere questa catena di inerzia delle istituzioni, questo clima di passività e di blocco che avvertiamo; anche qui il pensiero di Steiner con gli impulsi sul concetto di denaro di donazione
è stato fondamentale e ha mosso nuove energie dentro di noi.
In modo complementare alle ricerche sul fronte agronomico relative alla chioma integrale e all’innovativa filosofia della nostra ‘Mucca verde‘ (erba medica), abbiamo avuto la possibilità di sviluppare una relazione privilegiata con un mondo che ci ha sempre affascinato: quello delle api. Lorenzo è stato a lungo apicoltore e dovendo interrompere questa passione a causa di una reazione allergica alle punture delle api, nonvoleva comunque rinunciare alla loro presenza.
A partire dagli anni 2000 con Giuliano Marini della Fattoria Rurale Canais abbiamo intrapreso una collaborazione che amiamo definire proprio di mutuo appoggio. La presenza delle api è, lo sappiamo, fondamentale per la loro attività a
favore dell’impollinazione; ma, grazie, ad un’esperienza di pura osservazione diretta, siamo riusciti a spingere oltre il rapporto di sinergia tra noi, le vigne e queste preziose creature. Il 17 agosto 2002 siamo stati colpiti nella vigna Duline da una forte grandinata che aveva cominciato a compromettere gran parte delle uve di tocai friulano; rifiutandoci di seguire molti colleghi nella vendemmia anticipata per non perdere del tutto la produzione, ci siamo ostinati a curare acino per
acino; con grande meraviglia mentre procedevamo nella cura ci si rendeva evidente che ‘qualcuno’ prima di noi lo stava facendo. Le api delle arnie presenti in quel periodo nella Duline si avvicendavamo sui chicchi rotti e, grazie al loro apparato boccale, pulivano e succhiavano i liquidi zuccherini fuoriusciti, asciugandoli e impedendo così il possibile generarsi di muffe e batteri dannosi. Un’intera moltitudine di ‘manodopera’ inaspettata che ci ha consentito di giungere alla vendemmia al 12 settembre. Nell’immaginario collettivo spesso si confonde l’attività di vespe e api pensando che anche le seconde siano responsabili del danneggiamento degli acini. Al contrario, l’effetto di cura che proprio le api riescono a mettere in pratica è davvero eccellente.
Vederle all’opera tra i filari mi da la suggestione che siano ‘consapevoli’ della simbiosi che si crea e del reciproco beneficio: nella stagione a ridosso della vendemmia, infatti, le fioriture scarseggiano e le vigne cariche d’uva sono meta ideale per poter accumulare preziose scorte per l’inverno. Ci ricambiano con la loro indomita attività che possiamo definire come una straordinaria prevenzione anti botritica; anche in assenza dieventi traumatici come una grandinata. Oltretutto, come messo in evidenza dallo studio ‘Role of Social wasps in Saccharomyces cerevisiae ecology and evolution’ (I. Stefanini et all , edited by Nancy Moran, Yale University, West Haven, CT, luglio 2012) dove si chiarisce finalmente il ruolo fondamentale delle vespe e calabroni nell’ecologia dei lieviti indigeni, ulteriormente si può comprendere l’importanza del ruolo delle api nel diffonderli.
Negli anni abbiamo trasformato un’esperienza apparentemente occasionale in una costanza di progetto e azione: ogni anno dalla metà di agosto in poi facciamo portare da Giuliano Marini un numero di arnie tale da assicurarci la giusta presenza di api in rapporto all’estensione del vigneto; per definire questa giusta proporzione siamo stati aiutati da alcuni ricercatori di Apicultura dell’Università di Udine. Una pratica di sinergia che diventa anche azione di rilevanza economica e sociale; la possibilità per gli apicoltori di trasformare questo servizio in un’integrazione di reddito e di didattica ecologica.